Definizione della Complessità

 

 

"Il più bello dei mondi è un mucchio di rifiuti gettato dal caso"

     (Teofrasto, metafisico, III sec a.)

 

Salvador Dalì: Il Risveglio della Memoria

 

Abbiamo parlato di un crollo delle certezze, carattere tipico delta scienza del '900. Abbiamo anche accennato fin qui al fatto che le radici di questa incertezza sono da ricercare nel disfacimento del modello di scienza cartesiano, newtoniano e galileiano. Ebbene questa crisi profonda dei fondamenti del discorso scientifico è stata analizzata con un'attenzione particolare a cominciare dalla seconda metà del nostro secolo, e la ricerca si è centrata attorno ad un concetto particolare, molto evocativo e  suggestivo, racchiuso in una parola, complessità, che ha ormai assunto connotati quasi magici.  

 

  Non bisogna però pensare a questo termine, né alla teoria che simboleggia, come a qualcosa di assolutamente nuovo e inedito nella tradizione filosofica e scientifica. Come del resto qualsiasi attività umana, anche la scienza deriva in parte la spinta al proprio procedere dal bisogno di rispondere ad alcune esigenze, spesso angoscianti, sorte nel corso dell’esistenza di una collettività, fra le quali ovviamente quella di ricreare un modello comprensibile, un'immagine coerente del mondo entro cui viviamo.  

In questo senso la messa in campo del concetto di complessità ha implicato il riproporsi di una vecchia domanda, ha significato rimettere in discussione una tradizione scientifica che, per lo meno a partire da Newton (ma si potrebbe andare più indietro nel tempo) aveva dato per certi versi il posto centrale dell'uomo nell'universo creato e il ruolo della scienza come sua attività conoscitiva superiore. Se oggi parliamo di  una scienza della complessità questo non deve comunque trarre in inganno: non significa rinnegare oltre tre secoli di storia della conoscenza umana, ma piuttosto fornire un’interpretazione adeguata al problema di cui ci stiamo occupando attraverso un nuovo concetto.  

Il problema è intanto quello di capire la differenza non solo linguistica, ma anche fortemente epistemologica che corre fra due termini che sono solo apparentemente simili: complicato e complesso. Poniamoci alcune questioni.  

In primo luogo: parlando di un fenomeno la cui spiegazione ci obbliga a mettere in gioco un numero considerevole di variabili, dipendenti o indipendeni1 soprattutto per quanto riguarda la sua espressione in chiave simbolico-numerica (una formula) o in chiave descrittiva (un teorema), cos'è che ci autorizza a considerarlo un "fenomeno complesso"?

 

Frantisek Kupka: centro cosmicoE inoltre: la messa in evidenza, all'interno di questo fenomeno, osservato nel suo sviluppo, di alcune congruenze e condizioni di ordine ricorrenti deve farci pensare che vi è una semplicità della spiegazione sotto un'apparente difficoltà di lettura, che esiste una struttura nascosta? 

Oggi la scienza ha compreso che nella conoscenza della realtà non si tratta soltanto di raccogliere un numero considerevole di dati relativi ad un fenomeno, per meglio definirlo, e che non è il numero elevato di variabili in gioco a stabilire la presenza di una complessità, quanto piuttosto il loro essere visibilmente intrecciate in una rete di relazioni.

Ciò che fa davvero la differenza tra due concetti di complesso e complicato è la scoperta che tutti i fenomeni, soprattutto quelli legati al mondo del vivente, mostrano un'apparente mancanza di ordine nella propria evoluzione e a volte nella stessa struttura, caratteristiche che non permettono di ricostruire certe serie di eventi, come quelle della biologia contemporanea, se non come processi caotici. Il contesto entro cui la scienza contemporanea parla di una scoperta della complessità si individua così nella scoperta del carattere imprevedibile di alcuni fenomeni, e nella comprensione del fatto che:

       Nella scienza non esistono oggetti semplici, cioè la ricostruzione di un evento osservato sembra       rispondere a leggi deterministiche ma va ben oltre queste leggi;

 

         La previsione dello stato futuro di un sistema può sembrare possibile, ma a costo di ridurre qualitativamente la portata di un fenomeno studiato;

 

        Le qualità riscontrate in un oggetto studiato non sono proprie di quell’oggetto, ma sono la risposta      della sua interazione con l'osservatore, sono il suo "modo di vederle".

 

 

  Questo rappresenta il vero punto di partenza di ogni possibile riflessione sul ruolo stesso della scienza, sulla sua ricerca di una coerente immagine del mondo.

 Il criterio che permette di differenziare complicatezza e complessità dovrebbe comunque scaturire anche dall'evidenza del limite intrinseco alle spiegazioni che la scienza "classica" ha dato dei fenomeni, quelle cioè che puntano a semplificare, a ridurre, a sminuire la portata di un fenomeno, ad ignorare le innumerevoli relazioni possibili fra fenomeni ed eventi diversi. Quindi, nel momento in cui si prende coscienza dell'esigenza di una nuova situazione teorica si dovrebbero, per cosi dire, ridisegnare anche gli strumenti e le procedure d'indagine della scienza e il sistema delle pratiche sperimentali di ogni disciplina.

 La ricerca scientifica dei nostri giorni, del resto, sta lasciando evolvere la questione della complessità su  un piano che solo apparentemente rompe con la tradizione, ma che in realtà recupera il senso dell'eredità greca, del pensiero dinamico dei primi atomisti, molto più vicini alla meccanica quantistica e alla termodinamica di quanto non siano state le categorie di Aristotele e i miti demiurgici di Platone

E di questo dinamismo che approfitta per dare un contesto nuovo alle domande circa l'evoluzione  dell'universo, degli esseri viventi, dei sistemi sociali. Arriva quindi dal passato, un passato per troppo tempo dimenticato, il cuore teorico di queste nuove sfide che la natura lancia alla scienza. 

 Tutto questo implica un notevole spostamento di prospettiva: si mostra anzitutto come ogni idea di  esattezza nella scienza, se e scaturita da una concezione del Mondo come meccanismo semplice, sia fittizia. Di conseguenza, si è manifestato il carattere puramente descrittivo delle leggi scientifiche, la loro incapacità, cioè, di andare oltre la semplice supposizione di uno stato di cose, di spiegare davvero un fenomeno, fatto questo che mette sotto una luce diversa anche il concetto di osservazione e di esperimento, nonché quello di verità.

 

L'assenza di regole non deve essere interpretata come assenza di impostazione, ma come la consapevolezza che certi fenomeni con gli stessi presupposti di  base, si possono manifestare in infiniti modi differenti. Il caso è da intendere come una nuova dimensione concettuale che lascia spazio all'imprevisto, all'evento inaspettato. La casualità deve, però, essere messa in condizione di lavorare in modo costruttivo e non degenerare da variabile applicativa in una variabile di attrito, con effetti distruttivi e nocivi. 

In questo modo il caos è concepito come principio di indeterminismo, che nella scienza antica, non è  mai stato preso in considerazione, se non come antitesi al determiniso o causalismo: la concezione per  cui in natura nulla avviene a caso ma tutto accade secondo ragione e necessità. 

 Per causa si intende, in generale, ciò da cui dipende un determinato effetto; di conseguenza la  mentalità causalistica e deterministica ha rappresentato uno degli ingredienti fondamentali della scienza, che è nata proprio originariamente in seno alla filosofia (fisica) aristotelica e si è sviluppata  proprio in virtù del desiderio di trovare le cause delle cose e delle leggi che le determinano. 

 

 E' deterministica quella concezione della natura che esclude qualsiasi forma di casualità nelle cose e  ammette solo l'esistenza di leggi fisiche che agiscono secondo la più rigida e necessaria determinazione e alla quale sono conformate tutte le interazioni causali (cioè i rapporti tra una causa e il suo effetto). Dunque, per tutto ciò che accade possiamo trovare una spiegazione nelle cause che hanno concorso a  determinare l'evento, riconducendocela alla catena delle relazioni causa-effetto che non ha mai  interruzioni.

 

    In contrapposizione col determinismo chiamiamo indeterminismo quella concezione della natura che ammette l'esistenza in natura di eventi che non sono stati determinati da cause precedenti. Il  clinamen di Epicuro, che ammette una certa libertà nell'agire della natura, è quindi un elemento  indeterministico, che spezza la catena delle relazioni causa-effetto, dal momento che il movimento  eterno del mondo è regolato in parte da cause rigorosamente deterministiche, dovute al carattere  proprio della materia e del vuoto, e in parte è il frutto del caso, cioè del movimento indeterministico, imprevedibile, degli atomi. 

 

 IEdvard Munch: L'urlon antitesi, secondo i deterministi (ad esempio gli Stoici, contemporanei di Epicuro), se conoscessimo  tutte le cause precedenti a ciascun fenomeno naturale, saremmo in grado di prevedere anche il più  piccolo movimento di una foglia e determinare quando e come sboccerà ciascun fiore della Terra, ma  siccome nella natura è presente un imponderabile elemento di casualità, quella foglia e quel fiore  potrebbero sorprenderci con eventi imprevisti.

 Se le leggi non ci dicono nulla di preciso e affidabile riguardo il verificarsi di un fenomeno nello spazio e nel tempo, se sono ormai soltanto la descrizione di una possibilità che le cose accadano, allora la scienza si riduce ad essere solo uno dei possibili discorsi sul mondo non più l'unico esatto, e le sue regole appaiono sempre più simili a regole di un gioco. Del resto, l'osservazione di un fenomeno non è più il  punto di partenza per individuare una spiegazione; compiere un esperimento non è più un atto costitutivo della conoscenza, ma piuttosto una pratica esplorativa, un modo come un altro per conoscere. Siamo passati cosi da un'immagine della scienza come episthmh, cioè sicurezza, certezza, raggiungimento della verità, alla scienza come doxa, sapere fallibile, ipotetico, opinione, un discorso  intorno alle cose. 

Forse è questo l'aspetto più importante di quella crisi che abbiamo individuato come  caratteristica fondamentale della scienza del 1900, e come fondamento basilare di questo breve studio sulla complessità.

 

 

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