(1564/1642)

 Ricerca realizzata da: Luigi Esposito, Mario Maglione, Alessandro Ranieri, Anna Sozio, Ferruccio Trombetti

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Il pendolo

  La scoperta del pendolo  -   Isosincronismo del pendolo -   Testimonianze storiche   -   Applet dimostrativa

La scoperta del pendolo

Galileo era molto interessato ad un approccio di tipo matematico alla questione del moto; egli incominciò fin da giovane ad analizzare criticamente la fisica aristotelica che gli era stata insegnata, attraverso la sperimentazione diretta sugli oggetti del proprio studio.
Si dice che Galileo intraprese lo studio del moto del pendolo nel 1581, dopo aver osservato il moto di oscillazione di una lampada sospesa nella Cattedrale di Pisa (figura1), città nella quale


figura 1 (lampada della cattedrale di Pisa)

 

compì gli studi universitari. Egli si accorse che il periodo di oscillazione di un pendolo è indipendente dalla sua ampiezza, fenomeno detto "isocronismo" del pendolo, e cercò di trovare le relazioni tra la lunghezza e il peso del pendolo e il suo periodo. In realtà, un pendolo è strettamente isocrono soltanto se le sue oscillazioni sono di piccola ampiezza, come fu scoperto da Huygens pochi decenni più tardi.
Un pendolo poté quindi essere usato come strumento per misurare gli intervalli di tempo, trovando applicazione per esempio in medicina, come misuratore delle pulsazioni cardiache.
Molti anni più tardi, nel 1641, Galileo propose l'utilizzo del pendolo come meccanismo regolatore degli orologi, e ne abbozzò un progetto. Tuttavia, ormai vecchio e cieco, non riuscì a realizzarlo, e l'orologio a pendolo venne costruito solo nel 1657, da Christiaan Huygens.

Isosincronismo del pendolo

Galileo Galilei fu il primo ad accorgersi che la durata di ogni oscillazione di un pendolo semplice (cioè una massa attaccata tramite un filo ad un supporto fisso) è indipendente dall’ampiezza dell’oscillazione, purchè l’ampiezza angolare sia piccola, ossia in pratica finchè l’angolo massimo che il filo forma con la verticale non supera qualche grado, cioè sia <10°.

Quando il pendolo viene allontanato dalla posizione verticale e poi lasciato andare inizia ad oscillare perché la forza di gravità, agendo sulla massa appesa al filo, la richiama verso la posizione verticale del filo.

Il moto di un pendolo semplice, nell'ipotesi di piccole oscillazioni, è armonico con periodo indipendente dalla massa oscillante e dall'ampiezza delle oscillazioni. Quindi tutte le oscillazioni di un pendolo semplice hanno la stesa durata.

Osservando la formula del periodo del pendolo

si ricava che:

è indipendente dall'angolo q  

Se facciamo oscillare un pendolo e misuriamo i tempi necessari per compiere un certo numero di oscillazioni complete, per esempio le prime 10, e poi il tempo per le successive 10, nonostante l'ampiezza diminuisca progressivamente, si trova che i due tempi sono uguali.

  è indipendente  dalla massa 

Se sospendiamo palline di materiale diverso, per esempio una di ferro, una di legno, un'altra ancora di materiale diverso, a parità di lunghezza, si osserva che il periodo è sempre lo stesso.

è direttamente proporzionale alla radice quadrata della lunghezza 

Se facciamo oscillare alcuni pendoli di lunghezze diverse: ad esempio L1=10cm, L2=40cm, L3=90cm, cioè le lunghezze stanno tra loro come 1:4:9, si trova che il periodo del secondo pendolo è il doppio di quello del primo, mentre quello del terzo è il triplo. Quindi se si fanno oscillare simultaneamente i tre pendoli, si osserva che mentre il primo compie due oscillazioni complete, il secondo ne compie una e che, mentre il primo compie tre oscillazioni complete il terzo ne compie una.

è inversamente proporzionale alla radice quadrata dell'accelerazione di gravità.

Ad esempio, a parità di lunghezza, un pendolo sulla Luna, dove l'accelerazione di gravità è circa 1/6 di quella sulla Terra, ha un periodo che è circa 2,5 volte quello di un pendolo di uguale lunghezza sulla Terra; sulla Luna cioè le oscillazioni sono più lente. Quindi se sulla Terra un pendolo ha un periodo di 1s, sulla Luna un pendolo della stessa lunghezza ha un periodo di circa 2,5s.

 

Testimonianze storiche

Viviani, in una lettera a Leopoldo de' Medici del 20 agosto 1659, dà questo resoconto dell'invenzione dell'applicazione del pendolo all'orologio da parte dello scienziato pisano: "...Si pose il Galileo a speculare intorno al suo misurator del tempo; et un giorno del 1641, quando io dimorava appresso di lui nella villa d'Arcetri, sovviemmi che gli cadde in concetto che si saria potuto adattare il pendolo agl'oriuoli di contrapesi e da molla con valersene in vece del solito tempo, sperando che il moto egualissimo e naturale d'esso pendolo avesse a corregger tutti i difetti dell'arte in essi oriuoli. Ma perché l'essere privo di vista gli toglieva il poter fare disegni e modelli, a fine d'incontrare quell'artifizio che più proporzionato fosse all'effetto concepito, venendo un giorno di Firenze in Arcetri il detto Sig.r Vincenzio suo figliolo, gli conferì il Galileo il suo pensiero, e di poi più volte vi fecero sopra vari discorsi, e finalmente stabilirono il modo che dimostra il quì aggiunto disegno, e di metterlo intanto in opera per venire in cognizione del fatto di quelle difficoltà, che il più delle volte nelle macchine con la semplice speculativa non si sogliono prevedere. Ma perché il Sig.r Vincenzio intendeva di fabbricar lo strumento di propria mano, acciò questo per mezzo de gl'artefici non si divulgasse prima che fosse presentato al Ser.mo Gran Duca suo Signore et appresso alli Signori Stati per uso della longitudine andò differendo tanto l'esecuzione che indi a pochi mesi il Galileo, autore di tutte queste ammirabili invenzioni, cadde ammalato et a gl'8 di Gennaio 1641 Ab Inc.ne mancò di vita, per lo che si raffreddarono tanto i fervori del Sig.r Vincenzio, che non prima del mese di Aprile del 1649 intraprese la fabbrica del presente oriuolo, sul concetto somministratoli già, me presente, dal Galileo suo padre. Procurò dunque d'avere un giovane, che vive ancora, chiamato Domenico Balestri, magnano in quel tempo al Pozzo dal Ponte Vecchio, il quale aveva qualche pratica nel lavorar grandi oriuoli di muro, e da esso fecesi fabbricare il telaio di ferro, le ruote con i loro fusti e rocchetti, senza intagliare, et il restante lavorò di propria mano, facendo nella ruota più alta, detta delle tacche, n.° 12 denti, con altrettanti pironi scompartiti in mezzo tra dente e dente e col rocchetto nel fusto di n:° 6, et altra ruota che muove la sopradetta di n:° 90. Fermò poi da una parte del bracciuolo, che fa la croce al telaio, la chiave o scatto che posa su detta ruota superiore e dall'altra impernò il pendolo, che era formato d'un filo di ferro nel quale stava infilata una palla di piombo che vi poteva scorrere a vite, a fine d'allungarlo o scorciarlo secondo il bisogno d'aggiustarlo con un contrapeso. Ciò fatto, volle il Sig.r Vincenzio che io (come quegli che era consapevole di quest'invenzione, e che l'avevo ancora stimolato ad effettuarla) vedessi così per prova e più d'una volta, come pur vedde ancora il suddetto artefice, la congiunta operazione de contrapeso e del pendolo: il quale stando fermo tratteneva il discender di quello, ma sollevato in fuori e lasciato poi in libertà, nel passare oltre al perpendicolo, con la più lunga delle due code annesse all'impernatura del dondolo, alzava la chiave che posa e incastra nella ruota delle tacche, la qual tirata dal contrapeso, voltandosi con le parti superiori verso il dondolo, con uno dei suoi pironi calcava per disopra l'altra codetta più corta, e le dava nel principio del suo ritorno uno impulso tale che serviva d'una certa accompagnatura al pendolo che lo faceva sollevare fin all'altezza donde s'era partito; il qual, ricadendo naturalmente, e trapassando il perpendicolo, tornava a sollevare la chiave, e subito la ruota delle tacche in vigor del contrapeso ripigliava il suo moto seguendo a volgersi e spignere col pirone susseguente il detto pendolo, e così in un certo modo si andava perpetuando l'andata e tornata del pendolo fino a che il peso poteva calare a basso. Esaminammo insieme l'operazione, intorno alla quale varie difficoltà ci sovvennero, che tutte il Sig.r Vincenzio si prometteva di superare: anzi stimava di potere in diversa forma e con altre invenzioni adattare il pendolo all'oriuolo: ma da che l'aveva ridotto a quel grado, voleva pur finirlo su l'istesso concetto che n'addita il disegno, con l'aggiunta delle mostre per le ore e minuti ancora: perciò si pose ad intagliar l'altra ruota dentata. Ma in questa insolita fatica sopraggiunto da febbre acutissima, gli convenne lasciarla imperfetta e nel giorno XXII del suo male, alli 16 di Maggio del 1649, tutti gl'oriuoli più giusti, insieme con questo esattissimo misurator del tempo, per lui si guastarono e si fermarono per sempre, trapassando egli (come creder mi giova) a misurar, godendo nell'Essenza Divina, i momenti incomprensibili dell'eternita".

 

 

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