Filosofia
Contemporanea
Il
Gioco a Due
Abbiamo
visto che l'atteggiamento tipico dei grandi fondatori della scienza occidentale,
come Galileo o Newton,
era quello di sottolineare l'universalità e l’eternità delle leggi che essi
ritrovavano dispiegate, quasi
svelate, nella natura. Questi uomini cercavano schemi onnicomprensivi, concetti
o strutture del pensiero
che fossero condivisibili da tutti e quindi unificanti, un criterio generale al
cui interno si potesse
mostrare che ogni cosa esistente è sistematicamente, logicamente o casualmente
connessa con ogni
altra. Non dovevano esserci nella Scienza degli spazi lasciati aperti per
sviluppi spontanei o inattesi;
tutto ciò che accade doveva essere, almeno in linea di principio, interamente
spiegabile. La storia della scienza a partire dall'età moderna ci ha mostrato in
effetti che i tentativi portati avanti in
questa
direzione sembravano confortare le aspettative: ci furono effettivamente momenti
in cui quell’ambizioso
programma sembrò vicino ad essere completato.
Da
un punto di vista etico, a causa di questo atteggiamento, la Scienza si è posta
nei confronti del mondo
come un Adamo cacciato dall'Eden, che tenta disperatamente, leggendo il libro
della natura scritto
da Dio, di decifrarne i simboli e cosi ritorniamo ad una conoscenza-felicità.
Sul piano squisitamente
teorico, questa distanza fra uomo e natura è stata resa possibile, di fatto
seppure inconsapevolmente,
proprio dalla delineazione del cosiddetto metodo sperimentale, grazie al quale,
dietro
alla maschera del dialogo con la natura, lo scienziato nascondeva il bisogno di
ritrovare confermati
i propri schemi mentali, le proprie strutture teoriche irrigidite in leggi. La
scienza dell'età moderna
si era costituita a partire dalla scoperta di una nuova forma di comunicazione con la natura,
nella
convinzione che la natura potesse e volesse rispondere veramente
all’interrogazione sperimentale.
Gli
scienziati, in cento modi diversi, hanno da sempre raccontato questo loro
meravigliarsi quando, incontrando
il problema giusto, comprendevano la possibilità, per così dire, di completare
il ponte mentre
l'incoerenza lasciava il posto ad una logica chiusa. In questo senso la scienza
è stata interpretata come
un gioco a due giocatori, la natura con le sue leggi e gli scienziati con i loro
esperimenti. La
scienza dei nostri tempi, invece, si è spesso interrogata proprio sulla
legittimità e utilità del ricercare leggi
nella natura. Forse le leggi di natura sono regole secondo cui devono muoversi
processi naturali, in modo
simile alle leggi civili, secondo le quali devono muoversi le azioni del
cittadino: le leggi civili possono
essere trasgredite, mentre si ritiene impossibile che i fenomeni naturali devino
dalle loro leggi. Ma
questa concezione viene scossa se solo riflettiamo sul fatto che le nostre formulazioni riguardo ai
presunti
comportamenti dei fenomeni naturali potrebbero essere solo astrazioni, costruzioni arbitrarie
messe
in atto progressivamente a partire da esperienze "guidare" sui
fenomeni, quelle che noi chiamiamo
esperimenti.
Oggi
è divenuto sempre più evidente il limite interno al sistema creato dalla
scienza moderna: questo gioco
a due giocatori, osservatore e fenomeno, più che liberare e svelare i segreti
della natura, in realtà ha
negato la capacità di agire liberamente, di mettere in luce una molteplicità
di aspetti spesso irriducibili
alle teorie dell'uomo. Quindi, l'unità che la scienza contemporanea ricerca e scopre sempre più non
ha la forma di un
elemento fondamentale o di una sostanza, né atomo né formula generale. Lo
scienziato si trova oggi ad
essere insomma un po' come un bambino, il quale, giocando sulla riva del mare,
si illude di svuotarlo con
un secchiello.
Non
sarebbe più plausibile allora accettare il fatto che non è poi così logico,
così prevedibile ed evidente
il gioco fra uomo e natura, la quale, dal canto suo, non vuole comunicare con
l'uomo, né farsi comprendere,
ma semplicemente si mostra, nella propria incoerenza, instabilità, caoticità?
Oltre
che un problema di metodologia interna alla scienza, questa serie di
interrogativi sembra aprire il campo
ad un'analisi filosofica ben più profonda. E’ una questione di pertinenza del
modello di realtà proposto dalla scienza: fino a che punto si può andare avanti
immaginando che le eventuali difficoltà di
comprensione
di alcuni fenomeni dipendano soltanto da un grado di minore completezza delle
nostre informazioni
sulla loro struttura? Dove si innesta il "discorso della complessità"?
Una
delle prime verità venute a galla in questa ricerca di nuove fondamenta del
sapere non è stata
affatto
confortante, anzi, ha rappresentato a conferma di una dolorosa intuizione: il
nostro secolo è caratterizzato
dalla scoperta del fatto che la scienza non e' onnisciente, che la sua pretesa
di conoscere
il mondo senza errori è soltanto un mito, o al più una confortante
ipotesi
di lavoro. L’epoca contemporanea ha dovuto rinunciare al sogno della fisica
classica di conoscere
il mondo in maniera completa a partire dalle componenti minime ed elementari,
quello che potremmo
chiamare il "sogno di Cartesio". Gli sviluppi della scienza hanno
prodotto inoltre un lento ma
inesorabile smascheramento della nostra più fondata certezza: l’immagine di
un mondo deterministico,
un mondo, cioè, sui cui eventi e fenomeni è sempre possibile operare
previsioni da cui
far derivare leggi assolute.
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