L’atomo divisibile: La
scoperta dell’elettrone
Alla fine del XIX secolo era comunemente
diffusa la convinzione che l’atomo fosse la porzione di materia più
piccola esistente, indivisibile proprio come era stato predetto da
Democrito nel V sec. a.C. Il primo passo verso la scoperta delle
particelle elementari fu fatto in seguito alla scoperta dei raggi
catodici. Durante gli studi sulle scariche elettriche, che venivano
prodotte entro ampolle di vetro nelle quali era stato fatto un vuoto
approssimativo (tubi di Crookes), nel 1880 furono per la prima volta
messi in evidenza i raggi catodici. Questi raggi, di natura ancora
sconosciuta e detti catodici in quanto provenienti dal catodo
(elettrodo negativo), generavano una luminescenza sullo schermo posto
all'estremità del tubo di Crookes e producevano anche effetti elettrici
in quanto erano in grado di scaricare degli elettroscopi. Nel 1895 J.
Perrin riuscì a dimostrare che i raggi catodici erano costituiti da
particelle elettrizzate in movimento. Il passo successivo fu compiuto
da J.J. Thomson il quale in un celebre esperimento riuscì a dimostrare
che le particelle costituenti i raggi catodici venivano deviate da
campi elettrici e da campi magnetici e a misurare il rapporto e /
m tra la loro carica e la loro massa. Nasceva
così l'elettrone (il nome è dovuto a Stoney), la prima particella
elementare, che si suole indicare con il simbolo e- (o semplicemente
con e).
Esperienze simili erano già state tentate, ma senza successo: il vuoto
nelle ampolle di vetro, infatti, non era abbastanza spinto.
La celebre esperienza di Millikan del 1910 permise di misurare la
carica elettrica dell'elettrone studiando l'equilibrio di goccioline
d'olio elettrizzate, sospese tra i piatti di un condensatore.
Descriviamo il cruciale esperimento con cui
è stato scoperto l'elettrone:
Usando un Tubo
a raggi catodici [nella foto], Thomson ha notato che il fascio
veniva deviato dal campo elettrico creato dalle due placche sottoposte
a una differenza di potenziale. Doveva pertanto essere formato da
particelle cariche negativamente. Non potendo misurare direttamente la
massa di queste particelle, lo scienziato ha invece misurato di quanto
i raggi catodici venivano deviati e di quanta energia erano dotati, ed
è risalito al rapporto tra massa della particella e carica. Di
conseguenza, se la particella avesse avuto la massa di un atomo,
avrebbe dovuto avere una carica 1000 volte superiore al normale.
Oppure, a parità di carica con un atomo di idrogeno, la particella
avrebbe dovuto avere una massa 1000 volte inferiore. E questa è stata
l'ipotesi scelta da
Thomson.
Il protone
Nel 1886 Goldstein (che aveva dato il
nome ai raggi catodici) fece esperimenti in un tubo sottovuoto con
catodo perforato. Quando verso l'anodo venivano emessi raggi catodici,
altri raggi passavano attraverso i fori del catodo e si allontanavano
nella direzione opposta, provocando una debole luminosità su di uno
schermo rivelatore. Applicando all'esterno del tubo un campo elettrico
si trovava che tali raggi venivano deviati verso il polo negativo: era
evidente che si trattava di particelle cariche positivamente (atomi dei
gas trasformati in ioni dai raggi catodici) attratte dal polo negativo.
Nel 1914 Rutherford propose che questa particella (ione idrogeno)
venisse accettata come unità fondamentale di carica positiva e fosse
chiamata Protone.
Il
neutrone
La scoperta del neutrone avvenne molto
più tardi nel 1932, ad opera del fisico inglese James Chadwick.
Già dalla fine dell'800 erano state scoperte sostanze "radioattive"
che, spontaneamente, emettevano radiazioni capaci di intergire con la
materia.
Nel 1896 il fisico francese Becquerel aveva visto come alcuni minerali
contenenti uranio impressionavano lastre fotografiche chiuse nel loro
involucro.
Nello stesso periodo i coniugi Curie avevano scoperto diverse sostanze
radioattive da cui avevano isolato elementi come il Thorio, il Polonio,
l'Uranio, il Radio.
Nel 1932, Chadwick osservò che, colpendo il berillio con le radiazioni
emesse da una sostanza radioattiva, questo liberava corpuscoli
elettricamente neutri, con massa quasi identic a a quella del protone.
Tali particelle furono chiamati NEUTRONI.
La
teoria quantistica
Teoria fondamentale della fisica
moderna, detta anche teoria dei quanti perché basata sul concetto di
"quanto". La teoria spiega le proprietà dinamiche delle particelle
subatomiche e le interazioni tra radiazione e materia.
Le basi della meccanica quantistica furono poste nel 1900 dal fisico
tedesco Max Planck, il quale ipotizzò che l'energia venga emessa o
assorbita dalla materia sotto forma di piccole unità indivisibili,
chiamate appunto quanti.
Il passo successivo nello sviluppo
della meccanica quantistica si deve ad Albert Einstein. Egli ricorse al
concetto di quanto introdotto da Planck per spiegare alcune proprietà
dell'effetto fotoelettrico, il fenomeno che descrive il processo
dell'emissione di elettroni da parte di una superficie metallica
colpita da radiazione elettromagnetica. Nasce il fotone
La meccanica quantistica portò presto a spiegare molti fenomeni
attraverso la teorizzazione di particelle messaggeri responsabili delle
quattro interazioni.
I mesoni
Yukawa suppose che il campo nucleare si
manifestasse con un quanto analogo al fotone del campo elettrico; dato
che la distanza tra i nucleoni è molto piccola, un fotone di questo
tipo dovrebbe avere una lunghezza d'onda molto piccola a causa della
grande energia. Dai calcoli, Yukawa dedusse che il quanto del campo
nucleare doveva avere una massa circa 200 volte maggiore di quella
dell'elettrone, e che i nucleoni si dovevano "vedere" tramite lo
scambio di questo quanto che li avviluppa come una palla da tennis lega
due giocatori senza appartenere a nessuno dei due, dato che sarebbe
possibile pesarli senza far intervenire la palla il cui scambio è un
processo virtuale.
Studiando gli effetti della radiazione cosmica con una camera di
Wilson contenente una lastra metallica e immersa in un campo
magnetico, C.D. Anderson (lo scopritore del positrone) e S. H.
Neddermeyer trovarono nel 1937 tracce di particelle aventi massa
intermedia tra quella del protone e quella dell'elettrone, particelle
che sembravano corrispondere alle predizioni di Yukawa. Queste
particelle vennero subito considerate come i quanti del campo nucleare
e chiamate "mesotroni"; più tardi il loro nome fu mutato in quello di
mesoni.
Ma si era cantata vittoria troppo presto perché la nuova particella
interagiva solo debolmente con i nuclei, un miliardo di volte meno
della predizione dello scienziato giapponese. Il fatto fu rivelato da
Conversi, Pancini e Piccioni, poi da Fermi, Teller e Weisskopf, e
infine da Sakata, Inoue, Bothe e Marshak che nel 1947 proposero che il
mesone di Yukawa avesse una vita così breve da rendere molto difficile
la sua rivelazione.
Studiando al microscopio le tracce che i mesoni lasciavano nelle
emulsioni nucleari, Powell, Occhialini e Lattes si accorsero che tutte
presentavano tre parti ben distinte. All'inizio si distingueva una
breve traccia prodotta da una particella che fu identificata come il
vero mesone di Yukawa e che venne indicata con la lettera p . La
seconda parte della traccia fu attribuita a una particella, indicata
con m, prodotta dalla disintegrazione della precedente e identificata
con il mesone scoperto da Anderson e Neddermeyer; la terza parte fu
attribuita all'elettrone prodotto dalla disintegrazione della
particella m. Veniva così messo in evidenza il decadimento di un pione
in un muone e quindi in un elettrone.
I
Fermioni
Considerando la struttura degli atomi è
possibile porsi una domanda: noi sappiamo che le particelle che
compongono il nucleo risentono dell'interazione forte; sappiamo inoltre
che gli elettroni girano intorno al nucleo come la luna intorno alla
terra, ma perchè l'elettrone non risente della forza nucleare forte
molto più intensa di quella elettronica quando nel suo moto si trova
molto vicino al nucleo? A questa domanda Fermi, in collaborazione con
il fisico Dirac, tentò di dare risposta introducendo il concetto di
fermione
Le altre
particelle
Fino agli anni sessanta, e poi anche in
seguito con un maggiore criterio scientifico, la ricerca ha scoperto
l'esistenza di centinaia di particelle subatomiche, rendendo evidente
che la materia non è costituita solo da atomi e dalle principali
particelle che costituiscono l'atomo di bohr. Queste innumerevoli
particelle corredate delle loro rispettive "anti", costituiscono in
parte una questione ancora irrisolta. Infatti la maggior parte di
queste non sono assolutamente presenti nella materia che ci circonda,
ma sono solo "virtuali", e vengono ottenute in laboratorio, e la loro
vita ammonta a miliardesimi di secondo. Dal 1960 in poi, si è tentato
di mettere ordine nella confusione creata dalle tante scoperte e si è
giunti fino a una classificazione di cui si parlerà in seguito.
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