Specchi ustori
Uno specchio ustorio può essere realizzato con uno specchio parabolico,
uno specchio, cioè, la cui superficie abbia la forma di un paraboloide di rotazione.
Archimede aveva affrontato l'argomento nel suo trattato perduto di Catottrica.
Naturalmente gli specchi ustori possono essere sostituiti da un gran numero di specchi
piani che, con buona approssimazione, riflettono la luce in un unico punto.
Si è ipotizzato che questa seconda soluzione (ottenuta magari con specchi indipendenti
ciascuno manovrato da una persona) sia stata quella utilizzata in pratica.
Vennero usati durante la seconda guerra punica dai Siracusani durante l'assedio portato dai
Romani a danno della città di Siracusa nel 212 a.C.
Nell'immaginario collettivo gli specchi ustori sono indissolubilmente legati all'assedio di
Siracusa, durante il quale Archimede li avrebbe usati per bruciare le navi romane.
L'episodio non è ricordato da Polibio (che è la fonte più attendibile sui congegni bellici ideati
da Archimede durante l'assedio), né da Livio né da Plutarco,
ma è riferito da varie fonti tarde.
Ne parla per primo Galeno (200 d. C.), descrivendo gli specchi ustori come composti da una
serie di specchi piani opportunamente orientati.
I raggi del Sole concentrati dagli specchi in un unico punto sarebbero stati in grado di
bruciare il legno delle navi romane. La struttura era costituita da almeno 24 grandi specchi
piani, disposti in una figura esagonale su un graticcio ruotante su un palo fissato al terreno:
lo specchio centrale serviva a dirigere il raggio solare.
L'antico uso bellico degli specchi ustori potrebbe essere poco credibile per vari motivi.
In primo luogo il fatto che ne parlino solo autori tardi rende l'episodio molto sospetto.
Alcuni hanno poi ritenuto impossibile ottenere con specchi temperature sufficientemente
elevate (il legno ha una temperatura di autocombustione superiore ai 300 °C).
Altri hanno sottolineato la difficoltà di costruire uno specchio parabolico con un fuoco ad una
distanza dalle mura di Siracusa tale da poter colpire le navi romane.
Poiché Archimede riuscì realmente a bruciare navi romane perfezionando armi da getto in
grado di lanciare sostanze incendiarie ( catapulte), si è ipotizzato che alla base della
leggenda vi sia un'errata traduzione di una voce greca, che si sarebbe riferita a "sostanze
incendiarie" e sarebbe stata interpretata erroneamente come "specchi ustori".
Antichi trattati sugli specchi ustori suggeriscono la possibilità che la leggenda sia nata
sovrapponendo il ricordo delle navi romane incendiate alla reale progettazione di specchi
ustori destinati ad usi più pacifici.
Negli anni novanta è stato compiuto un esperimento per valutare l' effettiva capacità degli
specchi ustori, dirigendo verso una replica di una nave romana (con gli stessi materiali che
venivano usati all'epoca) 24 pannelli metallici lucidati in materiale simile a quelli utilizzati dai
siracusani come scudi.
Dopo pochi secondi il legno cominciò ad emettere fumo, per poi bruciare.
Ma la nave era ferma e non in movimento come durante la battaglia navale
a cui la leggenda si riferisce.
Facciamo ora un esperimento in laboratorio.
Ma gli specchi ustori possono essere utilizzati in vario modo.
Disponiamo due specchi parabolici alla distanza di almeno 2 m.
Disponiamo nel fuoco del primo una candela, e nel fuoco dell’altro
un piattino con un pezzetto di carta
Dopo poco la carta comincerà a bruciare.